Non so quando cominciai a divertirmi a collocare nell'aria i nomi delle città, dei paesi, delle regioni, però ricordo bene che mettevo tutto a posto e poi mi facevo i complimenti.
Apri una pagina a caso de L'esilio dei moscerini danzanti giapponesi di Marino Magliani (Exòrma) ed è facile imbattersi in una frase così, che ti entra dentro per muoverti qualcosa. Frasi come: La nostalgia non la senti quando sei lontano, ma quando sei lì, al tuo paese, e sai che fra poco te ne vai. Oppure: Per quanto mi riguarda, non c'è mai stato un momento in cui io non abbia invidiato chi riusciva a risiedere.
Anche solo per questo raccomanderei la lettura, perché è scrittura densa, mai banale, capace di andare a fondo. Però c'è molto di pù, perchè dentro c'è tutta una vita, sospesa tra arrivi e partenze, tra radici ed esilio.
C'è un uomo - un uomo in cui certo c'è molto di Marino - che è ligure di roccia, ligure di vallate da cui non si intravede il mare, che a un certo punto della giovinezza volta le spalle a un paese da cui si è sentito tradito. Ci sono gli anni dell'irrequietezza, tra la Costa Brava dei residenti della notte e un'Argentina che non è Buenos Aires e non è nemmeno l'immensità della Patagonia, ma un luogo sperduto nella pampa. C'è l'Olanda infine - infine? - che diventa il nuovo posto dove vivere, con i suoi canali, le dune e l'odore del mare, con le finestre senza imposte e la buona educazione.
E c'è una donna, che è stata una possibilità ai tempi della scuola, ma una di quelle possibilità che per qualche ragione non si concretizzano mai, rimangono sogno, desiderio, pensiero che non si fa passo o domanda. Possibilità ma ora anche riannodarsi di qualcosa, fuori tempo massimo, sia pure uno scriversi a distanza, un impiegarsi come punto di riferimento, come tessuto connettivo di una vita da raccontare in primo luogo a se stessi.
E c'è un mestiere che è quello di traduttore - e tradurre è un po' come viaggiare, un po' come andare e ritornare dalla Liguria all'Olanda, dall'Olanda alla Liguria - un mestiere che ha un significato particolare per un uomo che ha cominciato parlando il dialetto e facendo vivere le cose attraverso le parole del dialetto, siano frutta o interi paesi.
E ci sono molti incontri - persone come Peter, l'olandese che va a pesca e scrive poesie, perfetto esempio di regale marginalità - ma c'è anche immensa solitudine, una solitudine di vento e acqua salmastra, di lunghi pomeriggi senza luce e di passeggiate senza una meta e senza un motivo:
Lei non ha un cane, mi chiede ancora ogni tanto qualcuno.
Glielo spieghi tra quel po' di noia e di mezza contentezza perché in tutto il giorno non hai fatto una parola.
Brav'uomo, io sono il mio cane.
Ecco, cose così. Cose per cui merita leggere L'esilio di Marino. Non fosse altro che per saperne di più sui moscerini danzanti e su un altro piccolo animaletto - il talitro - nomade senza requie su dune che non sono quelle di Olanda, ma della mia Toscana.
Per questo e per provare a capire cos'è che ci mette in movimento, cos'è che ci fa sospirare il ritorno.
Apri una pagina a caso de L'esilio dei moscerini danzanti giapponesi di Marino Magliani (Exòrma) ed è facile imbattersi in una frase così, che ti entra dentro per muoverti qualcosa. Frasi come: La nostalgia non la senti quando sei lontano, ma quando sei lì, al tuo paese, e sai che fra poco te ne vai. Oppure: Per quanto mi riguarda, non c'è mai stato un momento in cui io non abbia invidiato chi riusciva a risiedere.
Anche solo per questo raccomanderei la lettura, perché è scrittura densa, mai banale, capace di andare a fondo. Però c'è molto di pù, perchè dentro c'è tutta una vita, sospesa tra arrivi e partenze, tra radici ed esilio.
C'è un uomo - un uomo in cui certo c'è molto di Marino - che è ligure di roccia, ligure di vallate da cui non si intravede il mare, che a un certo punto della giovinezza volta le spalle a un paese da cui si è sentito tradito. Ci sono gli anni dell'irrequietezza, tra la Costa Brava dei residenti della notte e un'Argentina che non è Buenos Aires e non è nemmeno l'immensità della Patagonia, ma un luogo sperduto nella pampa. C'è l'Olanda infine - infine? - che diventa il nuovo posto dove vivere, con i suoi canali, le dune e l'odore del mare, con le finestre senza imposte e la buona educazione.
E c'è una donna, che è stata una possibilità ai tempi della scuola, ma una di quelle possibilità che per qualche ragione non si concretizzano mai, rimangono sogno, desiderio, pensiero che non si fa passo o domanda. Possibilità ma ora anche riannodarsi di qualcosa, fuori tempo massimo, sia pure uno scriversi a distanza, un impiegarsi come punto di riferimento, come tessuto connettivo di una vita da raccontare in primo luogo a se stessi.
E c'è un mestiere che è quello di traduttore - e tradurre è un po' come viaggiare, un po' come andare e ritornare dalla Liguria all'Olanda, dall'Olanda alla Liguria - un mestiere che ha un significato particolare per un uomo che ha cominciato parlando il dialetto e facendo vivere le cose attraverso le parole del dialetto, siano frutta o interi paesi.
E ci sono molti incontri - persone come Peter, l'olandese che va a pesca e scrive poesie, perfetto esempio di regale marginalità - ma c'è anche immensa solitudine, una solitudine di vento e acqua salmastra, di lunghi pomeriggi senza luce e di passeggiate senza una meta e senza un motivo:
Lei non ha un cane, mi chiede ancora ogni tanto qualcuno.
Glielo spieghi tra quel po' di noia e di mezza contentezza perché in tutto il giorno non hai fatto una parola.
Brav'uomo, io sono il mio cane.
Ecco, cose così. Cose per cui merita leggere L'esilio di Marino. Non fosse altro che per saperne di più sui moscerini danzanti e su un altro piccolo animaletto - il talitro - nomade senza requie su dune che non sono quelle di Olanda, ma della mia Toscana.
Per questo e per provare a capire cos'è che ci mette in movimento, cos'è che ci fa sospirare il ritorno.
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