Ogni tanto qualcuno di noi compare, ma non ce ne accorgiamo subito. Ci sembra all'inizio solo una provvisoria assenza. Serve tempo per capire di quale natura. Se tragica o lieta, se evoluta o forzata. La comprendiamo definitiva quando dall'assente sparisce dagli scaffali il liquore preferito.
Non solo il Bar Sport di Stefano Benni - ormai un piccolo grande classico - c'è anche questo libro a raccontare un'Italia di altri tempi che oggi forse resiste solo in provincia. L'Italia dove si cresceva insieme in un bar, ammazzando il tempo in chiacchiere e giochi di carte, il posto dove tutto era sempre uguale, malgrado il mondo fuori, malgrado gli eventi dei giorni. Un porto sicuro dove ormeggiare. Il flipper, il giornale unto su un tavolo, le paste sotto vetro: e nonostante queste premesse, non propriamente epiche, un teatro che ogni giorno metteva in scena il suo spettacolo, storie e personaggi capaci di resistere più degli amori.
Diego Marani in Vita di Nullo (Nave di Teseo) ci racconta uno di questi personaggi, Nullo appunto. Quello che sembra sempre che non ci sia, ma che fa male quando non c'è davvero più. Quello che lo prenderesti a schiaffi - perché sembra pagato per fare il bastian contrario - però gli vuoi bene. Lunatico, strampalato, pronto a farsi carico del suo destino di zimbello e capro espiatorio.
Personaggio da bar, intorno al quale girano gli altri, inevitabilmente inchiodati a un soprannome e e una vocazione, come l'inventore di parole e il collezionista di tristezze. Personaggio che alimenta miti e che diventa modo di dire. Le sue storie passeranno di bocca in bocca, ripetute all'infinito.
E poi tutto il resto: le sere d'estate passate a prendere a schiaffi le zanzare e arimpiangere i baristi di un tempo, il sabato sera alla deriva in discoteca - non esserci era segno di un malessere che diventava presto sospetto - gli anni che passano e la fine del branco.
Pensare che a s crivere questo libro è un uomo - di grandissima penna - che è una vita che lavora a Bruxelles, che si occupa di Unione europea, che si è fatto conoscere anche per l'invezione di una lingua-gioco somma di molte altre lingue. E con tutto questo, si capisce che il cuore e le radici sono ancora lì, al quel piccolo mondo antico che è stato - ed è - il suo bar.
Così come per me, con il mio pub di sempre, quello tra lo stadio e la ferrovia, che è una vita che mi consente chiacchiere e sogni di viaggio, che un giorno, un giorno forse sì.
Non solo il Bar Sport di Stefano Benni - ormai un piccolo grande classico - c'è anche questo libro a raccontare un'Italia di altri tempi che oggi forse resiste solo in provincia. L'Italia dove si cresceva insieme in un bar, ammazzando il tempo in chiacchiere e giochi di carte, il posto dove tutto era sempre uguale, malgrado il mondo fuori, malgrado gli eventi dei giorni. Un porto sicuro dove ormeggiare. Il flipper, il giornale unto su un tavolo, le paste sotto vetro: e nonostante queste premesse, non propriamente epiche, un teatro che ogni giorno metteva in scena il suo spettacolo, storie e personaggi capaci di resistere più degli amori.
Diego Marani in Vita di Nullo (Nave di Teseo) ci racconta uno di questi personaggi, Nullo appunto. Quello che sembra sempre che non ci sia, ma che fa male quando non c'è davvero più. Quello che lo prenderesti a schiaffi - perché sembra pagato per fare il bastian contrario - però gli vuoi bene. Lunatico, strampalato, pronto a farsi carico del suo destino di zimbello e capro espiatorio.
Personaggio da bar, intorno al quale girano gli altri, inevitabilmente inchiodati a un soprannome e e una vocazione, come l'inventore di parole e il collezionista di tristezze. Personaggio che alimenta miti e che diventa modo di dire. Le sue storie passeranno di bocca in bocca, ripetute all'infinito.
E poi tutto il resto: le sere d'estate passate a prendere a schiaffi le zanzare e arimpiangere i baristi di un tempo, il sabato sera alla deriva in discoteca - non esserci era segno di un malessere che diventava presto sospetto - gli anni che passano e la fine del branco.
Pensare che a s crivere questo libro è un uomo - di grandissima penna - che è una vita che lavora a Bruxelles, che si occupa di Unione europea, che si è fatto conoscere anche per l'invezione di una lingua-gioco somma di molte altre lingue. E con tutto questo, si capisce che il cuore e le radici sono ancora lì, al quel piccolo mondo antico che è stato - ed è - il suo bar.
Così come per me, con il mio pub di sempre, quello tra lo stadio e la ferrovia, che è una vita che mi consente chiacchiere e sogni di viaggio, che un giorno, un giorno forse sì.
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