Andrea
Corsali, italiano al servizio dei portoghesi, riferendo a Giuliano
de' Medici delle sue esplorazioni, definisce la pelle dei Cinesi come
«di nostra qualità». Era l'anno 1515, ma per quasi tre secoli la
descrizione degli abitanti del Regno di Mezzo non cambierà: «gente
di pelle bianchissima al Nord... bruni invece i cantonesi»,
riferiscono viaggiatori, naturalisti e missionari. Infatti, alle
soglie del XIX secolo, i Cinesi sono ancora «un popolo di pelle
bianca» (Dizionario
universale,
1772,
Parigi).
Parte
da questo assunto, che ci lascia un po' stupiti, il breve ma
dirompente libro di Walter Demel - Come i cinesi divennero gialli. Alle origini delle teorie razziali (edizioni Vita e Pensiero) - a metà tra il saggio e il viaggio nella
storia, che stravolge le spire della teoria velenosa della razza.
Nel
1756 compare per la prima volta il termine luridus,
che può essere tradotto come "giallastro", riferito al
popolo cinese. Lo usa Linneo nella nona edizione del suo Systema
naturae.
Cosa abbia fatto cambiare idea al naturalista svedese che nelle
precedenti edizioni lo aveva definito fuscus
"scuro" - per colpa dei soliti cantonesi, meridionali
dell'Impero - lo possiamo solamente presumere. Forse si era fidato
della descrizioni del naturalista Buffon che aveva definito luridus
il popolo cinese (nel senso di infidi e poco affidabili). E Immanuel
Kant, sì proprio il filosofo, si trova davanti luridus
e lo traduce come "giallastro" in tedesco.
Da lì in avanti
i Cinesi, e molti altri popoli dell'Asia, rimarranno gialli anche se
non lo sono. Un errore di traduzione, per quanto fatto da un filosofo
eccelso, non sarebbe stato sufficiente, ma si stanno imponendo con
forza sempre maggiore strambe teorie che dividono il mondo non più
in continenti, ma in razze.
E
cosa c'è meglio di un colore della pelle per giustificare
l'esistenza e la riconoscibilità delle razze, visto che altri
criteri non si riescono a trovare? Si chiede il Demel citando
l'entusiastica adesione del mondo occidentale alla nuova definizione
"cromatica" dei cinesi. Il colore giallo era perfetto:
intermedio tra il bianco e il marrone, perfetto per sancire la
gerarchica delle razze: al punto più basso gli Africani (neri), nel
mezzo i Cinesi (gialli) e alla sommità... Beh, quello ce lo sentiamo
ripetere tutt'ora.
A
nulla è valso che l'antropologia moderna, usando i criteri delle
scienze naturali, abbia stabilito che «mediamente le curve di
riflessione della luce nel colore della pelle dei Cinesi sono di poco
inferiori rispetto a quelle degli Europei (tradotto, sono leggermente
più scuri della media europea). A nulla: rimangono i "gialli"
con annesso "pericolo giallo" e tutta la vulgata razzista
correlata.
Demel
conclude il suo libro dicendo che: «La razza gialla non è
certamente nata nelle plaghe sconfinate dell'Asia, ma nel cervello
degli studiosi europei.» Noi assentiamo, per una volta antirazzisti
a capo chino, visto che non siamo riusciti a discernere questa realtà
passeggiando per una qualsiasi Chinatown - Prato o New York, non
importa -. Abbiamo la sola scusa che le idee più velenose velano
anche lo sguardo.
Massimimiliano Scudeletti
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