Per fortuna ci sono libri che riemergono dal tempo, malgrado l'inerzia, l'oblio, la tentazione del macero. E per fortuna si lasciano ancora scoprire, benché nessun anniversario sia alle porte, benché nessun editore ci scommetta sopra con qualche operazione più o meno ardita. A volte è il passaparola di un conoscente, a volte è la curiosità che si accende tra i titoli di una bancarella dell'usato.
A me è capitato ora, con un libro che nel 1992 aveva addirittura vinto il Campiello, per quanto questo possa contare. Vincere premi, evidentemente, non assicura di durare nel tempo, soprattutto in questo tempo accelerato, che non sa più fermarsi, smanioso di novità da bruciare una dietro l'altra.
Sergio Maldini, La casa a Nord-Est (Marsilio, con una delle donne di Vermeer in copertina). Edizione tascabile acquistata a nemmeno quattro euro. Attaccato l'altro giorno, durante un mio giro di presentazioni in Friuli e divorato fino all'ultima pagina.
Uno di quei libri che forse capita di scegliere in previsione di un viaggio, per accordarsi con gli umori della terra che ti accoglierà. Questo lo avevo messo in conto. Ma poi molto, molto di più.
C'è la provincia italiana raccontata da grande autore, c'è tutta una terra che sembra come sospesa nelle sue atmosfere, nei suoi riti, nelle sue foschie, c'è il paesaggio e c'è la storia. C'è un uomo che lavora come giornalista a Roma, stanco, demotivato, preso da uggie di cambiamento. C'è una casa lassù, al Nord-Est, che oggi è un rudere ma che un giorno forse sarà la casa che davvero potrà accogliere un'altra possibilità, contentando sia il desiderio di rarefazione che l'aspirazione a un a nuova comunità. E c'è una donna, certo, una relazione che c'è e non c'è, ma intorno alla quale cominciano a girare i giorni.
C'è soprattutto il respiro della narrazione che ho avvertito nei racconti del grande Anton Cechov. C'è il sentimento della separazione e quello della nostalgia. C'è una grande scrittura, che tiene incollati alla pagine. Parole lucidate, dopo tanto tempo.
E io che Sergio Maldini non lo conoscevo. Lo scambiavo con un calciatore.
A me è capitato ora, con un libro che nel 1992 aveva addirittura vinto il Campiello, per quanto questo possa contare. Vincere premi, evidentemente, non assicura di durare nel tempo, soprattutto in questo tempo accelerato, che non sa più fermarsi, smanioso di novità da bruciare una dietro l'altra.
Sergio Maldini, La casa a Nord-Est (Marsilio, con una delle donne di Vermeer in copertina). Edizione tascabile acquistata a nemmeno quattro euro. Attaccato l'altro giorno, durante un mio giro di presentazioni in Friuli e divorato fino all'ultima pagina.
Uno di quei libri che forse capita di scegliere in previsione di un viaggio, per accordarsi con gli umori della terra che ti accoglierà. Questo lo avevo messo in conto. Ma poi molto, molto di più.
C'è la provincia italiana raccontata da grande autore, c'è tutta una terra che sembra come sospesa nelle sue atmosfere, nei suoi riti, nelle sue foschie, c'è il paesaggio e c'è la storia. C'è un uomo che lavora come giornalista a Roma, stanco, demotivato, preso da uggie di cambiamento. C'è una casa lassù, al Nord-Est, che oggi è un rudere ma che un giorno forse sarà la casa che davvero potrà accogliere un'altra possibilità, contentando sia il desiderio di rarefazione che l'aspirazione a un a nuova comunità. E c'è una donna, certo, una relazione che c'è e non c'è, ma intorno alla quale cominciano a girare i giorni.
C'è soprattutto il respiro della narrazione che ho avvertito nei racconti del grande Anton Cechov. C'è il sentimento della separazione e quello della nostalgia. C'è una grande scrittura, che tiene incollati alla pagine. Parole lucidate, dopo tanto tempo.
E io che Sergio Maldini non lo conoscevo. Lo scambiavo con un calciatore.
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