Ho fatto loro visita perché sono parte della mia vita, perchè la mia vita l'hanno accompagnata nei modi più diversi e in diversi momenti.
Non è certo destinato a profondere allegria a piene mani un libro che si intola Tumbas e per sottotitolo Tombe di poeti e pensatori (Iperborea). Eppure Cees Nooteboom, scrittore che ho già inseguito in molti viaggi, questa volta porta ancora più lontano, in un viaggio che attraversa il confine tra la vita e la morte, si interroga sul senso della poesia e sulla precarietà della fama, medita sulle ragioni e sui sentimenti che ci fanno amare un autore o un'opera.
No, malgrado il titolo, questo libro non è una raccolta di epitaffi, non solletica pulsioni nei confronti delle atmosfere sepolcrali, tantomeno suscita sentimenti di devozione o ossequio nei confronti dei morti illustri. Il contrario, semmai: e qui sta il bello di un libro che ci accompagna di tomba in tomba non per trovare i morti, ma per ascoltare i vivi malgrado la morte.
La maggior parte dei morti tace - spiega Nooteboom - Per i morti non è così. I poeti continuano a parlare.
Ed è per questo che gente come me, come molti, quando hanno l'occasione finiscono per recarsi in certi cimiteri e per indugiare di fronte a certe tombe. Anche se la persona sepolta non l'abbiamo mai conosciuta. O al contrario, proprio perché l'abbiamo conosciuta, nella sua opera.
E' quello che cerchiamo, quando ci avviciniamo alle tombe degli scrittori, gigantesca minoranza di appassionati di ciò che si fa da soli - leggere - ma che a volte, in un cimitero come in un festival, sa diventare comunità. Cerchiamo l'opera, che ancora ci parla. Vogliamo richiamare un sentimento, sottolineare un'appartenenza. A volte ci riusciamo solo così.
Scrivere è mortalità rinviata, spega ancora il grande olandese. E ancora: Anche circondato da migliaia di lapidi, non ho mai la sensazione di essere in visita a un morto.
Se vi tufferete in questo libro ne avrete la dimostrazione. E magari anche voi partirete per qualche cimitero, solo per continuare un dialogo interiore con un libro che via appartiene. Per quanto mi riguarda ho già deciso cosa fare, quando avrò spento il computer.
Poco lontano da casa, mi aspetta il Cimitero degli Inglesi, sui viali che avvolgono il centro di Firenze. Voglio andare a trovare una vecchia amica, Elizabeth Barrett Browning. Ho molto da raccontarle. E soprattutto molto da ascoltare.
Non è certo destinato a profondere allegria a piene mani un libro che si intola Tumbas e per sottotitolo Tombe di poeti e pensatori (Iperborea). Eppure Cees Nooteboom, scrittore che ho già inseguito in molti viaggi, questa volta porta ancora più lontano, in un viaggio che attraversa il confine tra la vita e la morte, si interroga sul senso della poesia e sulla precarietà della fama, medita sulle ragioni e sui sentimenti che ci fanno amare un autore o un'opera.
No, malgrado il titolo, questo libro non è una raccolta di epitaffi, non solletica pulsioni nei confronti delle atmosfere sepolcrali, tantomeno suscita sentimenti di devozione o ossequio nei confronti dei morti illustri. Il contrario, semmai: e qui sta il bello di un libro che ci accompagna di tomba in tomba non per trovare i morti, ma per ascoltare i vivi malgrado la morte.
La maggior parte dei morti tace - spiega Nooteboom - Per i morti non è così. I poeti continuano a parlare.
Ed è per questo che gente come me, come molti, quando hanno l'occasione finiscono per recarsi in certi cimiteri e per indugiare di fronte a certe tombe. Anche se la persona sepolta non l'abbiamo mai conosciuta. O al contrario, proprio perché l'abbiamo conosciuta, nella sua opera.
E' quello che cerchiamo, quando ci avviciniamo alle tombe degli scrittori, gigantesca minoranza di appassionati di ciò che si fa da soli - leggere - ma che a volte, in un cimitero come in un festival, sa diventare comunità. Cerchiamo l'opera, che ancora ci parla. Vogliamo richiamare un sentimento, sottolineare un'appartenenza. A volte ci riusciamo solo così.
Scrivere è mortalità rinviata, spega ancora il grande olandese. E ancora: Anche circondato da migliaia di lapidi, non ho mai la sensazione di essere in visita a un morto.
Se vi tufferete in questo libro ne avrete la dimostrazione. E magari anche voi partirete per qualche cimitero, solo per continuare un dialogo interiore con un libro che via appartiene. Per quanto mi riguarda ho già deciso cosa fare, quando avrò spento il computer.
Poco lontano da casa, mi aspetta il Cimitero degli Inglesi, sui viali che avvolgono il centro di Firenze. Voglio andare a trovare una vecchia amica, Elizabeth Barrett Browning. Ho molto da raccontarle. E soprattutto molto da ascoltare.
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