Ma da dove vengono i venti, e dove vanno? E si può davvero dire che "vanno" nello stesso senso in cui chi cammina va da qualche parte, o una strada da un posto all'altro? E se così è, che fine fanno una volta che ci sono arrivati?
Nick Hunt non si limita a porsi domande del genere, che già non sarebbe poco. A un certo punto si rende conto che i venti riesce persino a vederli. E quindi seguirli con i suoi passi. L'attrazione per i venti, che per i casi della vita si porta da quando era un bambino, riesce a farsi viaggio.
E' così che Nick Hunt, firma del Guardian e dell'Economist, entra a pieno titolo nel nutrito gruppo degli scrittori di cammino inglesi, gruppo che come è noto si distingue per le tentazioni della curiosità e l'originalità delle scelte. Ora c'è anche lui, insieme ai Patrick Leigh Fermor e ai Robert Macfarlane: e suo è uno dei migliori libri di viaggio che mi sia capitato tra le mani negli utili tempi.
Dove soffiano i venti selvaggi (edizioni Neri Pozza) racconta i cammini per i luoghi dove nascono e imperversano la Bora, il Mistral e le altre forze che sono realtà tenace e insieme leggenda nella storia di tanti popoli. Chi parla non è un meteorologo ma un viaggiatore, che poche cose si lascia sfuggire di ciò che i venti producono: nella conformazione dei paesaggi, nelle architetture delle case, persino nei caratteri della gente.
Sembra quasi un gioco, modellato sulla rosa dei venti e sulla geografia dei monti e delle valli. Roba in fondo per cultori della maniera. Invece no: e non solo perché c'è grande scrittura. Le parole come sempre sono rivelatrici. Basta giocarci appena: lo spirare del vento e il respirare di chi vive, per non dire dello spirito che è concetto che richiama il sacro. Oppure il vento dei latini, l'anemos: da cui discende l'anima ma anche l'animale.
Vento che richiama la vita, vento che è addirittura vita. E inseguirlo, ci spiega Nick Hunt, non è roba da Don Chischiotte lanciato contro i mulini. Forse c'è vento che spira anche dentro di noi.
Nick Hunt non si limita a porsi domande del genere, che già non sarebbe poco. A un certo punto si rende conto che i venti riesce persino a vederli. E quindi seguirli con i suoi passi. L'attrazione per i venti, che per i casi della vita si porta da quando era un bambino, riesce a farsi viaggio.
E' così che Nick Hunt, firma del Guardian e dell'Economist, entra a pieno titolo nel nutrito gruppo degli scrittori di cammino inglesi, gruppo che come è noto si distingue per le tentazioni della curiosità e l'originalità delle scelte. Ora c'è anche lui, insieme ai Patrick Leigh Fermor e ai Robert Macfarlane: e suo è uno dei migliori libri di viaggio che mi sia capitato tra le mani negli utili tempi.
Dove soffiano i venti selvaggi (edizioni Neri Pozza) racconta i cammini per i luoghi dove nascono e imperversano la Bora, il Mistral e le altre forze che sono realtà tenace e insieme leggenda nella storia di tanti popoli. Chi parla non è un meteorologo ma un viaggiatore, che poche cose si lascia sfuggire di ciò che i venti producono: nella conformazione dei paesaggi, nelle architetture delle case, persino nei caratteri della gente.
Sembra quasi un gioco, modellato sulla rosa dei venti e sulla geografia dei monti e delle valli. Roba in fondo per cultori della maniera. Invece no: e non solo perché c'è grande scrittura. Le parole come sempre sono rivelatrici. Basta giocarci appena: lo spirare del vento e il respirare di chi vive, per non dire dello spirito che è concetto che richiama il sacro. Oppure il vento dei latini, l'anemos: da cui discende l'anima ma anche l'animale.
Vento che richiama la vita, vento che è addirittura vita. E inseguirlo, ci spiega Nick Hunt, non è roba da Don Chischiotte lanciato contro i mulini. Forse c'è vento che spira anche dentro di noi.
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