Ci vogliono libri così, che raccontano storie secondarie, apparentemente buone solo per una rivista molto specialistica o per una nota da archivio storico, solo che dentro di esse batte forte la vita. Certo poi ci vuole qualità di scrittura e con essa la capacità di non girare a vuoto, grazie alla spinta della curiosità, al desiderio di scoprire e di raccontare, ma ecco, contro ogni previsione può succedere: il libro su cui non avresti scommesso ti appassiona come un grande romanzo.
Questo è quanto mi è capitato con Il professore e il pazzo di Simon Winchester (Adelphi), autore che peraltro mi aveva già accompagnato con grande piacere per i misteri della Cina o per le distese dell'Atlantico. Questa volta l'impresa sembrava meno agevole e più discutibile, benché in effetti porti dentro quella che un'impresa è stata davvero: la redazione del mitico Oxford English Dictionary, monumento inarrivabile della lingua inglese, di cui ambisce a racchiudere l'intero universo di parole.
Impresa, certo, a cui raramente mi è stato dato di pensare. Quale lavoro enorme c'è dietro un dizionario o un'enciclopedia? Quanta frustrazione riserva l'accumulo di una conoscenza che non finisce mai?
E tuttavia dentro questa impresa si nasconde anche una storia meravigliosa. Buona per un grande romanzo, appunto. La storia della relazione tra James Murray, curatore del dizionario, e il suo principale collaboratore. Detta così non suona particolarmente accattivante, fatto sta che questo collaboratore è solo una firma - W.C. Minor - con un passato ingombrante di cui Murray non ha il minimo sospetto: è un americano impazzito durante la Guerra di Secessione, a Londra ha ammazzato un passante, ora è rinchiuso in un manicomio criminale ed è da lì che invia migliaia e migliaia di voci alla redazione del dizionario.
Solo dopo molto tempo, quando deciderà di incontrare il suo prezioso collaboratore, Murray scoprirà la verità: e invece di ritrarsi scandalizzato si aprirà a un'amicizia contro tutti i pronostici, nell'Inghilterra dei pregiudizi vittoriani.
Murray, certo, anche lui un tipo particolare: scozzese di origine modeste, autodidatta, sin da bambino dominato da una fame di conoscenza come una malattia cronica. Però non fino al punto di smarrire se stesso.
Che storia, che è questa, di umanità che si riconosce. E di imprese che vanno avanti solo grazie a chi non ti aspetti, uomini ai margini dei luoghi comuni.
Questo è quanto mi è capitato con Il professore e il pazzo di Simon Winchester (Adelphi), autore che peraltro mi aveva già accompagnato con grande piacere per i misteri della Cina o per le distese dell'Atlantico. Questa volta l'impresa sembrava meno agevole e più discutibile, benché in effetti porti dentro quella che un'impresa è stata davvero: la redazione del mitico Oxford English Dictionary, monumento inarrivabile della lingua inglese, di cui ambisce a racchiudere l'intero universo di parole.
Impresa, certo, a cui raramente mi è stato dato di pensare. Quale lavoro enorme c'è dietro un dizionario o un'enciclopedia? Quanta frustrazione riserva l'accumulo di una conoscenza che non finisce mai?
E tuttavia dentro questa impresa si nasconde anche una storia meravigliosa. Buona per un grande romanzo, appunto. La storia della relazione tra James Murray, curatore del dizionario, e il suo principale collaboratore. Detta così non suona particolarmente accattivante, fatto sta che questo collaboratore è solo una firma - W.C. Minor - con un passato ingombrante di cui Murray non ha il minimo sospetto: è un americano impazzito durante la Guerra di Secessione, a Londra ha ammazzato un passante, ora è rinchiuso in un manicomio criminale ed è da lì che invia migliaia e migliaia di voci alla redazione del dizionario.
Solo dopo molto tempo, quando deciderà di incontrare il suo prezioso collaboratore, Murray scoprirà la verità: e invece di ritrarsi scandalizzato si aprirà a un'amicizia contro tutti i pronostici, nell'Inghilterra dei pregiudizi vittoriani.
Murray, certo, anche lui un tipo particolare: scozzese di origine modeste, autodidatta, sin da bambino dominato da una fame di conoscenza come una malattia cronica. Però non fino al punto di smarrire se stesso.
Che storia, che è questa, di umanità che si riconosce. E di imprese che vanno avanti solo grazie a chi non ti aspetti, uomini ai margini dei luoghi comuni.
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