C'è chi lo definisce storico recalcitrante - già meglio che riluttante - e dubito che in questo modo si renda un buon servizio al mestiere dello storico, ma certo dà l'idea di un autore che sfugge come un'anguilla a ogni classificazione. Storico, va bene, ma anche girovago, innamorato, sognatore, cantastorie, dice Giulio Mozzi di Matteo Melchiorre. Sottoscrivo.
Prendete questo libro: un titolo piuttosto enigmatico, La via di Schenèr (Marsilio editore), un sottotitolo che sembra spostare decisamente il tiro verso il saggio serio e autorevole, buono per studiosi e cultori: un'esplorazione storica nelle Alpi.
Quanto a storia ce n'è tanta qui dentro, costruita con la passione dell'uomo che si tuffa dentro gli archivi e non si spaventa di fronte alla mole dei documenti, piuttosto si interroga su quello che non si è depositato nella scrittura. Ma soprattutto ci sono gli uomini, con le loro storie di vita. Così che anche un minuscolo lembo di terra diventa un mondo da esplorare. E una aspra via di montagna, ormai abbandonata e dimenticata, si fa orizzonte su cui contemplare destini più ampi.
La via di Schéner, ovvero la mulattiera che un tempo univa due comunità separate dal confine: la città di Feltre sotto e, al di là del passo, gli abitanti del Primiero. Ovvero Austria e Veneto.
Mercanti e contrabbandieri, lavoratori stagionali e soldati. Guerre e affari. Quante vicende si intrecciano sui due versanti di una strada che non sembra nemmeno una strada, solo un sentiero scosceso e faticoso che pure ha del cordone ombelicale.
Lo storico - è vero - a volte deve dismettere i panni dello storico, per fare bene alla storia. Per capire e far capire che la storia siamo noi, con tutti coloro che ci hanno preceduto. Con i tanti nomi svaniti allo stesso modo delle orme sui valichi di montagna.
Lo storico a volte deve abbandonare i testi e gli archivi, farsi uomo in viaggio e in questo modo fare raccolta di parole. A volte addirittura deve mettersi gli scarponcini da trekking, caricarsi uno zaino, puntare verso il crinale. Così la via - quella via - è già molto di più di una linea tracciata sulle antiche mappe.
Prendete questo libro: un titolo piuttosto enigmatico, La via di Schenèr (Marsilio editore), un sottotitolo che sembra spostare decisamente il tiro verso il saggio serio e autorevole, buono per studiosi e cultori: un'esplorazione storica nelle Alpi.
Quanto a storia ce n'è tanta qui dentro, costruita con la passione dell'uomo che si tuffa dentro gli archivi e non si spaventa di fronte alla mole dei documenti, piuttosto si interroga su quello che non si è depositato nella scrittura. Ma soprattutto ci sono gli uomini, con le loro storie di vita. Così che anche un minuscolo lembo di terra diventa un mondo da esplorare. E una aspra via di montagna, ormai abbandonata e dimenticata, si fa orizzonte su cui contemplare destini più ampi.
La via di Schéner, ovvero la mulattiera che un tempo univa due comunità separate dal confine: la città di Feltre sotto e, al di là del passo, gli abitanti del Primiero. Ovvero Austria e Veneto.
Mercanti e contrabbandieri, lavoratori stagionali e soldati. Guerre e affari. Quante vicende si intrecciano sui due versanti di una strada che non sembra nemmeno una strada, solo un sentiero scosceso e faticoso che pure ha del cordone ombelicale.
Lo storico - è vero - a volte deve dismettere i panni dello storico, per fare bene alla storia. Per capire e far capire che la storia siamo noi, con tutti coloro che ci hanno preceduto. Con i tanti nomi svaniti allo stesso modo delle orme sui valichi di montagna.
Lo storico a volte deve abbandonare i testi e gli archivi, farsi uomo in viaggio e in questo modo fare raccolta di parole. A volte addirittura deve mettersi gli scarponcini da trekking, caricarsi uno zaino, puntare verso il crinale. Così la via - quella via - è già molto di più di una linea tracciata sulle antiche mappe.
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