La Natura insegna più di quanto predichi.
Ecco, sono frasi così, che balzano incontro dalla pagina come luci nella notte, a rendere prezioso questo piccolo libro: Il vangelo della natura di John Burroughs. Titolo e autore che presumibilmente vi diranno assai poco. Al sottoscritto nulla, fino a pochi giorni fa. E per questa scoperta bisogna rendere merito alla casa editrice La vita felice e a Luca Castelletti, che con passione e competenza ha tradotto e curato questo testo per il lettore italiano.
John Burroughs è uno degli svariati americani che, nell'Ottocento delle metropoli, delle industrie, delle ferrovie, si sono come messi a lato, cercando altre possibilità nella wilderness del continente. Mi vengono in mente gente come John Muir o come George Perkins Marsh - su quest'ultimo tra l'altro a breve uscirò io con un libro - oppure, su tutti, l'immenso Henry David Thoreau. Gente che ha seminato i primi dubbi sulla bontà del progresso, che ha invocato un'altra vita e che almeno in parte quella vita è risucita anche a farla.
E tra loro, appunto, John Burroughs, uomo che non si è mai scordato la giovinezza trascorsa nella fattoria di famiglia sui Monti Catskill, benchè il suo destino sia stato di lavgorare in banca. Amico di Walt Whitman, è stato punto di riferimento per altri grandi americani come Thomas Edison. E così scrisse il presidente Theodore Roosevelt, in una lettera a lui indirizzata:
Ogni amante della vita all'aria aperta dovrebbe provare un senso di affettuoso debito nei tuoi confronti.... Per tutti noi è un bene che tu abbia vissuto.
In queste pagine c'è il senso della sua lezione di vita. A dispetto della sua noncuranza per le sorti umane, ci spiega Burroughs, nella natura possiamo ritrovarci, ritemprarci, ricominciare. Immergerci in essa è come seguire la parola di un vangelo che non ha bisogno di dogmi e liturgie, ma solo di semplicità, umiltà, gratitudine.
Dà forza e sollievo, la natura. Diventa più sano e appagato l'uomo che erra per campi e boschi. Basta non avvicinarsi con il fare dello studioso, binocolo e taccuino alla mano, che voglia sviscerarne i segreti. Piuttosto bisogna desiderare di incontrarla come si fa con una vecchia amica.
Abbiamo camminato insieme o ci siamo seduti l'uno accanto all'altra e la nostra intimità accresce con lo scorrere delle stagioni.
Così dice John Burroughs e e vorre poter affermare lo stesso di me.
Ecco, sono frasi così, che balzano incontro dalla pagina come luci nella notte, a rendere prezioso questo piccolo libro: Il vangelo della natura di John Burroughs. Titolo e autore che presumibilmente vi diranno assai poco. Al sottoscritto nulla, fino a pochi giorni fa. E per questa scoperta bisogna rendere merito alla casa editrice La vita felice e a Luca Castelletti, che con passione e competenza ha tradotto e curato questo testo per il lettore italiano.
John Burroughs è uno degli svariati americani che, nell'Ottocento delle metropoli, delle industrie, delle ferrovie, si sono come messi a lato, cercando altre possibilità nella wilderness del continente. Mi vengono in mente gente come John Muir o come George Perkins Marsh - su quest'ultimo tra l'altro a breve uscirò io con un libro - oppure, su tutti, l'immenso Henry David Thoreau. Gente che ha seminato i primi dubbi sulla bontà del progresso, che ha invocato un'altra vita e che almeno in parte quella vita è risucita anche a farla.
E tra loro, appunto, John Burroughs, uomo che non si è mai scordato la giovinezza trascorsa nella fattoria di famiglia sui Monti Catskill, benchè il suo destino sia stato di lavgorare in banca. Amico di Walt Whitman, è stato punto di riferimento per altri grandi americani come Thomas Edison. E così scrisse il presidente Theodore Roosevelt, in una lettera a lui indirizzata:
Ogni amante della vita all'aria aperta dovrebbe provare un senso di affettuoso debito nei tuoi confronti.... Per tutti noi è un bene che tu abbia vissuto.
In queste pagine c'è il senso della sua lezione di vita. A dispetto della sua noncuranza per le sorti umane, ci spiega Burroughs, nella natura possiamo ritrovarci, ritemprarci, ricominciare. Immergerci in essa è come seguire la parola di un vangelo che non ha bisogno di dogmi e liturgie, ma solo di semplicità, umiltà, gratitudine.
Dà forza e sollievo, la natura. Diventa più sano e appagato l'uomo che erra per campi e boschi. Basta non avvicinarsi con il fare dello studioso, binocolo e taccuino alla mano, che voglia sviscerarne i segreti. Piuttosto bisogna desiderare di incontrarla come si fa con una vecchia amica.
Abbiamo camminato insieme o ci siamo seduti l'uno accanto all'altra e la nostra intimità accresce con lo scorrere delle stagioni.
Così dice John Burroughs e e vorre poter affermare lo stesso di me.
Nessun commento:
Posta un commento