C'è questa città che è un mondo intero - Vienna che danza sull'orlo del precipizio prima che il suo impero vada a pezzi. Ci sono i suoi ambienti, colti e sofisticati, artisti e collezionisti di arte, attori da cabaret e critici di giornale - perché questa è anche la Vienna di Joseph Roth, Karl Kraus e Arthur Schnitzler, la Vienna che abita il mio immaginario dalle inquietudini dei vent'anni.
C'è un pittore, Gustav Klimt, che ama i gatti e dipinge i suoi quadri su un fondo oro che si ricoscerebbe tra mille. E c'è un altro pittore che chiama il primo Maestro e che si è fatto largo con le sue opere di corpi nudi, intrecciati, febbricitanti. Si chiama Egon Schiele, la sua vita è scandalo, provocazione, arte sublime. Finirà in carcere per pornografia, il nazismo lo condannerà all'oblio riservato agli artisti degenerati, ma un giorno sarà riscoperto come uno dei più grandi.
E' la sua storia - e insieme la storia della Vienna sparita - che dipana Romina Casagrande in Le ragazze con le calze grigie (Arkadia editore), libro tra i più intensi e poetici che abbia letto negli ultimi tempi. Per me una rivelazione - e pensare che quella Vienna, appunto, è uno dei luoghi che più ho provato a coltivare, nei libri e nell'aria respirata sulla Ringstrasse.
Una storia che si fa duplice, grazie alle due donne più importanti nella vita di Egon, chiamate al racconto in prima persona, dal loro punto di vista. Wally, la ragazza di campagna che di Egon sarà modella, musa, amante. Edith, la giovane della buona borghesia viennese, che Egon saprà sposare.
E mi ci sono tuffato dentro questo libro, oltre ogni aspettativa. Per Vienna, per Egon Schiele e Gustav Klimt, per queste donne nel fiore degli anni, per questo mondo che alla vigilia della guerra sa ancora aspirare alla bellezza. Ma anche per lo stile di Romina, la sua parola insieme morbida e secca, estranea a ogni effetto speciale, così come le stesse vicende prescindono da ogni licenza poetica.
Mi ci sono tuffato per riannodare, ancora una volta, i fili che legano l'arte alla vita.
Per interrogarmi, ancora una volta, su cosa alla fine prevalga davvero, se la vita, che esige sempre il suo conto o l'arte, che rimane.
Per tenermi stretto l'ultimo quadro di Egon, quello in copertina: La famiglia, che rappresenta lui, Edith e il figlio che sta per nascere e non nascerà, perché di lì a poco sia lui che Edith saranno portati via dalla febbre spagnola.
E per sincerarmi ancora una volta della verità delle parole di Oscar Wilde in epigrafe:
Each man kills the thing he loves.
C'è un pittore, Gustav Klimt, che ama i gatti e dipinge i suoi quadri su un fondo oro che si ricoscerebbe tra mille. E c'è un altro pittore che chiama il primo Maestro e che si è fatto largo con le sue opere di corpi nudi, intrecciati, febbricitanti. Si chiama Egon Schiele, la sua vita è scandalo, provocazione, arte sublime. Finirà in carcere per pornografia, il nazismo lo condannerà all'oblio riservato agli artisti degenerati, ma un giorno sarà riscoperto come uno dei più grandi.
E' la sua storia - e insieme la storia della Vienna sparita - che dipana Romina Casagrande in Le ragazze con le calze grigie (Arkadia editore), libro tra i più intensi e poetici che abbia letto negli ultimi tempi. Per me una rivelazione - e pensare che quella Vienna, appunto, è uno dei luoghi che più ho provato a coltivare, nei libri e nell'aria respirata sulla Ringstrasse.
Una storia che si fa duplice, grazie alle due donne più importanti nella vita di Egon, chiamate al racconto in prima persona, dal loro punto di vista. Wally, la ragazza di campagna che di Egon sarà modella, musa, amante. Edith, la giovane della buona borghesia viennese, che Egon saprà sposare.
E mi ci sono tuffato dentro questo libro, oltre ogni aspettativa. Per Vienna, per Egon Schiele e Gustav Klimt, per queste donne nel fiore degli anni, per questo mondo che alla vigilia della guerra sa ancora aspirare alla bellezza. Ma anche per lo stile di Romina, la sua parola insieme morbida e secca, estranea a ogni effetto speciale, così come le stesse vicende prescindono da ogni licenza poetica.
Mi ci sono tuffato per riannodare, ancora una volta, i fili che legano l'arte alla vita.
Per interrogarmi, ancora una volta, su cosa alla fine prevalga davvero, se la vita, che esige sempre il suo conto o l'arte, che rimane.
Per tenermi stretto l'ultimo quadro di Egon, quello in copertina: La famiglia, che rappresenta lui, Edith e il figlio che sta per nascere e non nascerà, perché di lì a poco sia lui che Edith saranno portati via dalla febbre spagnola.
E per sincerarmi ancora una volta della verità delle parole di Oscar Wilde in epigrafe:
Each man kills the thing he loves.
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