C’è l’incredibile sorriso di quella ragazza somala, colto in mezzo a una manifestazione di razzismo di piazza, quel sorriso capace di disarmare un’intera folla animata dal peggio di questi tempi grami. E c’è quell’altro sorriso che è un ricordo, un’assenza, forse anche un rimorso: quello di un’altra ragazza arrivata in Italia al termine di un viaggio che è l’inferno in terra.
Chi è Sahra? Qual è stata la sua vita prima e dove è svanita ora, dopo aver abbandonato il centro di seconda accoglienza? E perché è sparita? Quali rughe segnano il suo sorriso?
Sono queste le domande che accompagnano l’ultimo ottimo libro di Carmine Abate, Le rughe del sorriso (Mondadori): uno di quei libri che prima di tutto sono uno sguardo necessario su ciò che oggi molti provano a non vedere. E che allo stesso tempo sono viaggio, si fanno viaggio, il viaggio più terribile, il viaggio dei nostri tempi.
E c’è quel continente da cui arrivano uomini, donne e bambini. C’è la Somalia devastata dai signori della guerra, ma riscattata dal coraggio e dalla tenacia di chi sa che anche salvare un orfano è una finestra sul futuro. E c’è la Calabria, da cui un tempo si partiva e dove oggi si arriva, la Calabria di Rosarno, ma anche quella di Riace.
Questo ci racconta Carmine Abate, da scrittore par suo, con la consapevolezza che il racconto è possibilità o almeno premessa di salvezza.
Raccontare, dunque: cominciando da ciò che c’era prima, da quel passato rimosso, da ciò che restituisce volti e nomi. Così come ci diceva Alessandro Leogrande, prima di andarsene troppo presto, dopo aver condiviso con Carmine molte parole anche su questo libro, che per noi è come un passaggio di testimone:
Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte.
Chi è Sahra? Qual è stata la sua vita prima e dove è svanita ora, dopo aver abbandonato il centro di seconda accoglienza? E perché è sparita? Quali rughe segnano il suo sorriso?
Sono queste le domande che accompagnano l’ultimo ottimo libro di Carmine Abate, Le rughe del sorriso (Mondadori): uno di quei libri che prima di tutto sono uno sguardo necessario su ciò che oggi molti provano a non vedere. E che allo stesso tempo sono viaggio, si fanno viaggio, il viaggio più terribile, il viaggio dei nostri tempi.
E c’è quel continente da cui arrivano uomini, donne e bambini. C’è la Somalia devastata dai signori della guerra, ma riscattata dal coraggio e dalla tenacia di chi sa che anche salvare un orfano è una finestra sul futuro. E c’è la Calabria, da cui un tempo si partiva e dove oggi si arriva, la Calabria di Rosarno, ma anche quella di Riace.
Questo ci racconta Carmine Abate, da scrittore par suo, con la consapevolezza che il racconto è possibilità o almeno premessa di salvezza.
Raccontare, dunque: cominciando da ciò che c’era prima, da quel passato rimosso, da ciò che restituisce volti e nomi. Così come ci diceva Alessandro Leogrande, prima di andarsene troppo presto, dopo aver condiviso con Carmine molte parole anche su questo libro, che per noi è come un passaggio di testimone:
Bisogna farsi viaggiatori per decifrare i motivi che hanno spinto tanti a partire e tanti altri ad andare incontro alla morte.
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