"E non succederà nulla, signor capostazione. Noi qui siamo dimenticati".
Ci sono posti così, che sembrano dimenticati: quasi sempre per trovarli bisogna inoltrarsi in una valle appartata, inerpicarsi per un monte dove gli uomini sono pochi e sembrano appartenere a un altro tempo. Ma che siano davvero dimenticati quasi sempre è un'illusione, soprattutto se da quelle parti passa di tanto in tanto un treno.
Di un luogo così, che in realtà si troverà a fare i conti con la Storia più tremenda del Novecento, racconta Paolo Casadio ne Il bambino del treno (Piemme), gran bel romanzo dove l'invenzione si mescola sapientemente con la verità dei fatti. E con un luogo vero, Fornello, stazioncina della Faentina senza centro abitato intorno, prima del crinale che separa la Toscana dalla Romagna.
E' qui che un giorno del 1935 arriva Giovanni Timi, vincitore del concorso per capostazione, insieme alla moglie incinta e a un cane. Un avanzamento di carriera che sa di confino, per un uomo che al partito fascista si è iscritto tardivamente e di mala voglia.
Per la vita che è chiamato a fare sembra più un guardiano del faro che un capostazione, con la montagna al posto del mare. Le città sono lontane, qui ci sono solo mulattiere, torrenti, castagneti. Le notizie rimbalzano di lontano, trasportate sui pochi treni che transitano per la linea.
Eppure anche da qui, dalla sperduta Fornello, sarà possibile raccontare il decennio più terribile della storia italiana, tra la proclamazione dell'Impero e la catastrofe della guerra. Quante cose, che riguardano la stessa vita quotidiana: i maestri di montagna e le radio rurali, le celebrazioni di regime e il cinema ambulante, l'oscuramento antiaereo e le carte annonarie. E dentro tutto questo la storia di una famiglia. Giovanni, ma anche la moglie Lucia. Romeo, l'unico figlio, così chiamato in onore della strada dei Romei, ovvero dei pellegrini per Roma. E certo anche Pipito, cane con la predilezione per i perdenti.
Figure che non si lasceranno dimenticare tanto facilmente. Almeno non tanto quanto è stato dimenticata la stazione di Fornello, bellissima. Oggi il tempo dell'incuria pare condannare un luogo che racconta un tempo che non c'è più. Meno male che un bel romanzo può fare persino questo, restituire speranza di vita a luoghi che la Storia non ha dimenticato, ma noi sì.
Ci sono posti così, che sembrano dimenticati: quasi sempre per trovarli bisogna inoltrarsi in una valle appartata, inerpicarsi per un monte dove gli uomini sono pochi e sembrano appartenere a un altro tempo. Ma che siano davvero dimenticati quasi sempre è un'illusione, soprattutto se da quelle parti passa di tanto in tanto un treno.
Di un luogo così, che in realtà si troverà a fare i conti con la Storia più tremenda del Novecento, racconta Paolo Casadio ne Il bambino del treno (Piemme), gran bel romanzo dove l'invenzione si mescola sapientemente con la verità dei fatti. E con un luogo vero, Fornello, stazioncina della Faentina senza centro abitato intorno, prima del crinale che separa la Toscana dalla Romagna.
E' qui che un giorno del 1935 arriva Giovanni Timi, vincitore del concorso per capostazione, insieme alla moglie incinta e a un cane. Un avanzamento di carriera che sa di confino, per un uomo che al partito fascista si è iscritto tardivamente e di mala voglia.
Per la vita che è chiamato a fare sembra più un guardiano del faro che un capostazione, con la montagna al posto del mare. Le città sono lontane, qui ci sono solo mulattiere, torrenti, castagneti. Le notizie rimbalzano di lontano, trasportate sui pochi treni che transitano per la linea.
Eppure anche da qui, dalla sperduta Fornello, sarà possibile raccontare il decennio più terribile della storia italiana, tra la proclamazione dell'Impero e la catastrofe della guerra. Quante cose, che riguardano la stessa vita quotidiana: i maestri di montagna e le radio rurali, le celebrazioni di regime e il cinema ambulante, l'oscuramento antiaereo e le carte annonarie. E dentro tutto questo la storia di una famiglia. Giovanni, ma anche la moglie Lucia. Romeo, l'unico figlio, così chiamato in onore della strada dei Romei, ovvero dei pellegrini per Roma. E certo anche Pipito, cane con la predilezione per i perdenti.
Figure che non si lasceranno dimenticare tanto facilmente. Almeno non tanto quanto è stato dimenticata la stazione di Fornello, bellissima. Oggi il tempo dell'incuria pare condannare un luogo che racconta un tempo che non c'è più. Meno male che un bel romanzo può fare persino questo, restituire speranza di vita a luoghi che la Storia non ha dimenticato, ma noi sì.
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