Ci sono sentieri che non si limitano a oltrepassare un crinale, ci sono passi che non puntano solo verso una località segnata sulle carte. Soprattutto in certi cammini si va avanti anche per misurare la profondità del tempo, a volte addirittura per inseguire quanto di una vita trascorsa ancora rimane. Quello che ci ci racconta Oreste Verrini in Madri (Fusta editore), il suo ultimo libro, è senz'altro uno di questi cammini.
E dunque, prima di tutto c'è un viaggio a piedi lungo una settimana - la più strana della mia vita preannuncia Oreste già nelle prime righe - un viaggio sull'Appenino meno conosciuto e frequentato Tra Emilia e Toscana. C'è una montagna bella e ruvida, con i suoi toponimi che messi in fila sembrano una preghiera in una lingua di misteri, una montagna che è una trapunta di storie sospese tra passato e presente. Ma soprattutto c'è un pittore che arriva da un altro secolo, da quel Quattrocento in cui l'arte italiana ha riemptto cataloghi e pinacoteche del mondo intero.
Si chiama Pietro da Talada, non è tra i grandi che hanno lasciato un segno vistoso, è già molto che il suo nome si sia sottratto all'oblio. Lavorava per chiese di paese, non per il Papa a Roma o per i signori di Firenze e Milano. Eppure anche lui possedeva il dono della bellezza e ce l'ha donata a sua volta, lasciandocene testimonianza in luoghi che non raggiungono le comitive dei turisti.
E' questa la vita che Oreste insegue con i suoi passi, quest'uomo che come oggi Oreste allora si spostava da un versante all'altro dell'Appennino, là dove poteva sfamarsi con la sua arte. Appennino Tosco-Emiliano, qualche decennio prima della scoperta dell'America: e mi sembra una storia da romanzo russo, capace di esprimere l'anima di un popolo attraverso le vicende di uno di quei monaci che affrescavano le pareti dei monasteri in tempi difficili.
Le Madonne di Pietro da Talada parlano ancora al cuore: e meritano il cammino di un uomo dei nostri giorni. Meritano un libro con cui condividere il miracolo del cammino e della bellezza.
E dunque, prima di tutto c'è un viaggio a piedi lungo una settimana - la più strana della mia vita preannuncia Oreste già nelle prime righe - un viaggio sull'Appenino meno conosciuto e frequentato Tra Emilia e Toscana. C'è una montagna bella e ruvida, con i suoi toponimi che messi in fila sembrano una preghiera in una lingua di misteri, una montagna che è una trapunta di storie sospese tra passato e presente. Ma soprattutto c'è un pittore che arriva da un altro secolo, da quel Quattrocento in cui l'arte italiana ha riemptto cataloghi e pinacoteche del mondo intero.
Si chiama Pietro da Talada, non è tra i grandi che hanno lasciato un segno vistoso, è già molto che il suo nome si sia sottratto all'oblio. Lavorava per chiese di paese, non per il Papa a Roma o per i signori di Firenze e Milano. Eppure anche lui possedeva il dono della bellezza e ce l'ha donata a sua volta, lasciandocene testimonianza in luoghi che non raggiungono le comitive dei turisti.
E' questa la vita che Oreste insegue con i suoi passi, quest'uomo che come oggi Oreste allora si spostava da un versante all'altro dell'Appennino, là dove poteva sfamarsi con la sua arte. Appennino Tosco-Emiliano, qualche decennio prima della scoperta dell'America: e mi sembra una storia da romanzo russo, capace di esprimere l'anima di un popolo attraverso le vicende di uno di quei monaci che affrescavano le pareti dei monasteri in tempi difficili.
Le Madonne di Pietro da Talada parlano ancora al cuore: e meritano il cammino di un uomo dei nostri giorni. Meritano un libro con cui condividere il miracolo del cammino e della bellezza.
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