Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica: e quando ritornò si riposò, su una pietra l'intera storia incise.
Ecco, questa è la storia di Gilgamesh, che ci arriva da un passato tanto lontano che i poemi di Omero sembrano dell'altro ieri. Abisso di tempo da vertigine, parole che però riescono ancora incredibilmente ad arrivare al nostro cuore.
Gilgamesh, l'uomo a cui erano note tutte le cose, il re che conobbe i paesi del mondo. La sua epopea è stata custodita da tavolette d'argilla, i segni cuneiformi dei sumeri incisi su di essi. Mesopotamia, culla di civiltà e anche della storia che precede tutte le altre storie.
Dentro c'è il Diluvio Universale, prima del racconto della Genesi. Dentro c'è la storia di un grande viaggio, prima dell'Odissea. Dentro c'è il bisogno di raccontare che fa sì che un ritorno sia davvero un ritorno. Dentro soprattutto c'è l'eterna questione che è dell'uomo, la domanda che getta ombra su tutte le altre.
Perchè questa è la storia di Gilgamesh, creatura divina per due terzi e umana per un terzo, che dell'uomo ha preso la condizione di mortalità. La storia di un viaggio che non è l'inquietudine o la fame di conquista a spingere. Gilgamesh si spinge attraverso lande selvagge per raggiungere la Fonte dell'Eterna Giovinezza, là dove cercherà di sottrarsi al destino che è di tutti: e che sarà anche il suo destino, perchè persino lui, Gilgamesh, perderà la sfida delle sfide.
O Gilgamesh, era questo il significato del tuo sogno. Ti venne data la sovranità, questo era il tuo destino; una vita che duri in eterno non era il tuo destino. Non essere triste in cuor tuo per questo, non essere afflitto né oppresso.
Mortale tra i mortali anche lui. Ma capace di strappare quel tanto di immortalità che ci è concessa tramite le parole delle tavolette d'argilla.
Perchè, appunto, quando ritornò su una pietra l'intera storia incise.
Ecco, questa è la storia di Gilgamesh, che ci arriva da un passato tanto lontano che i poemi di Omero sembrano dell'altro ieri. Abisso di tempo da vertigine, parole che però riescono ancora incredibilmente ad arrivare al nostro cuore.
Gilgamesh, l'uomo a cui erano note tutte le cose, il re che conobbe i paesi del mondo. La sua epopea è stata custodita da tavolette d'argilla, i segni cuneiformi dei sumeri incisi su di essi. Mesopotamia, culla di civiltà e anche della storia che precede tutte le altre storie.
Dentro c'è il Diluvio Universale, prima del racconto della Genesi. Dentro c'è la storia di un grande viaggio, prima dell'Odissea. Dentro c'è il bisogno di raccontare che fa sì che un ritorno sia davvero un ritorno. Dentro soprattutto c'è l'eterna questione che è dell'uomo, la domanda che getta ombra su tutte le altre.
Perchè questa è la storia di Gilgamesh, creatura divina per due terzi e umana per un terzo, che dell'uomo ha preso la condizione di mortalità. La storia di un viaggio che non è l'inquietudine o la fame di conquista a spingere. Gilgamesh si spinge attraverso lande selvagge per raggiungere la Fonte dell'Eterna Giovinezza, là dove cercherà di sottrarsi al destino che è di tutti: e che sarà anche il suo destino, perchè persino lui, Gilgamesh, perderà la sfida delle sfide.
O Gilgamesh, era questo il significato del tuo sogno. Ti venne data la sovranità, questo era il tuo destino; una vita che duri in eterno non era il tuo destino. Non essere triste in cuor tuo per questo, non essere afflitto né oppresso.
Mortale tra i mortali anche lui. Ma capace di strappare quel tanto di immortalità che ci è concessa tramite le parole delle tavolette d'argilla.
Perchè, appunto, quando ritornò su una pietra l'intera storia incise.
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