Un tempo c'erano i tonni nel nostro mare, un tempo c'erano isolani che li pescavano insieme ed erano comunità. Di questo vivevano e la pesca era fatica e rito, tradizione e promessa di futuro. Un tempo, però, un tempo che non era ancora il tempo delle tonnare soppiantate dalle navi frigorifero giapponesi, il tempo del sushi e di Masterchef, il tempo del lavoro che ha smesso di diventare tale per immalinconirsi nel folclore.
E tra l'uno e l'altro tempo c'è stato un uomo che ha provato ad arrestarlo il tempo, a dargli un altro verso. Si chiamava Gioacchino Cataldo, è stato l'ultimo rais di Favignana: così si chiamavano gli uomini che guidavano la pesca in tonnara, con termine preso in prestito dall'altra sponda del Mediterraneo, in un mare che anche questo è stato, scambio e non solo crociata.
Il rais: non solo un pescatore più abile, ma una sorta di sciamano delle acque, un concentrato di esperienza e saggezza che una volta pretendeva addirittura un diritto di successione per linea di sangue.
In L'ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia (Bonfirraro editore) Massimiliano Scudeletti insegue la sua storia. La storia di un ultimo: e si capisce che sono storie a lui congeniali, quelle degli ultimi, un po' come l'ultimo dei Mohicani. La insegue, questa storia, la racconta, si mescola ad essa: e in questo modo la narrazione si allarga, diventa storia di un mondo al crepuscolo e di un sogno che quasi si fa realtà prima di allentare la presa.
E sì, forse è anche la storia di una generazione di persone che magari in vita sua non ha mai visto Favignana, tanto meno una tonnara, ma come dice Massimiliano, malgrado i nobili scopi, i modi geniali, spesso disperati nella loro inattualità, ha avuto come ricompensa di essere tramutata in statua di tufo tra gente altra che passeggia. Oppure si è venduta.
La mia generazione, la generazione di Massimiliano.
C'è l'odore della salsedine e l'odore degli spaghetti al tonno, in questo libro, ci sono gli orizzonti del mare aperto e dei sogni che a volte si coltivano a occhi aperti. C'è una storia che, incredibilmente appartiene a tutti noi, persone che spesso ci facciamo fuori le scatolette del tonno senza nemmeno sospettare che prima quei filetti erano guizzi di vita nelle profondità.
E tra l'uno e l'altro tempo c'è stato un uomo che ha provato ad arrestarlo il tempo, a dargli un altro verso. Si chiamava Gioacchino Cataldo, è stato l'ultimo rais di Favignana: così si chiamavano gli uomini che guidavano la pesca in tonnara, con termine preso in prestito dall'altra sponda del Mediterraneo, in un mare che anche questo è stato, scambio e non solo crociata.
Il rais: non solo un pescatore più abile, ma una sorta di sciamano delle acque, un concentrato di esperienza e saggezza che una volta pretendeva addirittura un diritto di successione per linea di sangue.
In L'ultimo rais di Favignana. Aiace alla spiaggia (Bonfirraro editore) Massimiliano Scudeletti insegue la sua storia. La storia di un ultimo: e si capisce che sono storie a lui congeniali, quelle degli ultimi, un po' come l'ultimo dei Mohicani. La insegue, questa storia, la racconta, si mescola ad essa: e in questo modo la narrazione si allarga, diventa storia di un mondo al crepuscolo e di un sogno che quasi si fa realtà prima di allentare la presa.
E sì, forse è anche la storia di una generazione di persone che magari in vita sua non ha mai visto Favignana, tanto meno una tonnara, ma come dice Massimiliano, malgrado i nobili scopi, i modi geniali, spesso disperati nella loro inattualità, ha avuto come ricompensa di essere tramutata in statua di tufo tra gente altra che passeggia. Oppure si è venduta.
La mia generazione, la generazione di Massimiliano.
C'è l'odore della salsedine e l'odore degli spaghetti al tonno, in questo libro, ci sono gli orizzonti del mare aperto e dei sogni che a volte si coltivano a occhi aperti. C'è una storia che, incredibilmente appartiene a tutti noi, persone che spesso ci facciamo fuori le scatolette del tonno senza nemmeno sospettare che prima quei filetti erano guizzi di vita nelle profondità.
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