E' dai tempi del liceo, quando l'antologia di italiano mi fece planare verso i poeti crepuscolari, che mi piace tornare al suo mondo di care piccole cose, tanto decenti quanto di gusto discutibile, come i soprammobili nel salotto buono di una vecchia zia.
Guido Gozzano occupa un posto particolare tra le mie letture, con i suoi versi teneri e malinconici. Amo il suo essere poeta con timidezza e imbarazzo, lui che diceva cose così: Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo. Che in realtà era un modo per ammettere che non ne poteva fare a meno.
Però meritano anche le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sorprendenti per una persona che non è facile nemmeno immaginarsi che possa partire e andare così lontano.
Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca di chissà che cosa, forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà forse ha meno a che vedere con i polmoni che con le inquietudini della vita.
Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.
C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso c'è anche l'India, l'esperienza dell'India, in queste lettere prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt).
Guido Gozzano occupa un posto particolare tra le mie letture, con i suoi versi teneri e malinconici. Amo il suo essere poeta con timidezza e imbarazzo, lui che diceva cose così: Dopo tutto la poesia è la cosa meno necessaria di questo mondo. Che in realtà era un modo per ammettere che non ne poteva fare a meno.
Però meritano anche le lettere che scrisse non da uno borghesissimo studio del Piemonte fin di secolo (intendendo l'Ottocento) ma niente di meno che dall'India. Sorprendenti per una persona che non è facile nemmeno immaginarsi che possa partire e andare così lontano.
Gozzano in India arriva nel 1911, non come uno scrittore in cerca di materiali per un libro, ma come un giovane avvocato torinese malato di tubercolosi, in cerca di chissà che cosa, forse di un'aria migliore, forse di un'altra vita. Di una guarigione comunque, che chissà forse ha meno a che vedere con i polmoni che con le inquietudini della vita.
Qualcosa che alla lontana sa di Tiziano Terzani, insomma.
C'è chi ha scritto che Guido Gozzano è il viaggiatore che vede e racconta quasi soltanto se stesso, ma in ogni caso c'è anche l'India, l'esperienza dell'India, in queste lettere prima pubblicate sul quotidiano La Stampa e poi raccolte nel volume Verso la cuna del mondo (oggi riedite da Edt).
Sono belle, anche se ho fatto fatica a riconoscere nel poeta dei salotti dell'Italia giolittiana l'uomo che parla di Bombay metropoli ospitale oppure di Goa, misteriosa e spiazzante.
Però, a pensarci bene, in India c'è già stato: cento volte - ammette lui stesso - con la matita, durante le interminabili lezioni di matematica. Viaggiatore da fermo, come quell'altro esploratore di carta che appartiene agli stessi anni, come a tutti i ragazzi che fantasticano: Emilio Salgari.
E sì, in questo mescolarsi di sogni e nostalgie, di avventure del cuore e di letture intrepide, io ritrovo il Gozzano poeta, il Gozzano di quei salotti, di quei pomeriggi, di quelle occasioni sfumate.
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