Ho ritrovato questo Diario in due quaderni negli armadi blu... Non ricordo di averlo scritto.
Succede che il passato ci sorprenda così, come un baule in cantina che non è stato più riaperto, come una scoperta archeologica. A volte è qualcosa di scritto, in cui è tanto riconoscere la nostra calligrafia, e solo quella. Non ci si vede proprio nell'atto di scrivere quanto si è scritto.
Sono stato proprio io? Domanda che in realtà potrebbe valere per tutti, anche per lo scrittore che oggi pubblica il libro che solo ieri ha scritto. Ma da cui talvolta discende assai più di una constatazione.
Come Marguerite Duras in queste pagine, sconcertata da tanto disordine del pensiero e del sentimento da farle provare una sorta di vergogna della letteratura. Ed è vero, questa non è letteratura, questa è vita. Ma vita restituita in tutta la sua intensità.
Pochi libri come Il dolore (Feltrinelli) raccontano le lacerazioni e le paure della guerra, pochi libri sono così chirurgici nel dissezionare ciò che gli uomini sono e diventano nelle strozzature della storia.
Parigi, tra il 1944 e il 1945. Marguerite Duras milita nella Resistenza, i tedeschi le hanno strappato il marito. Prigioniero in un campo di concentramento, di lui non si sa più niente. Forse è già morto, forse quel forse non ha più senso, ogni giorno ha meno senso. Cos'è l'attesa di un ritorno? Come è piangere un morto sena tomba?
Troppo, c'è troppo in queste parole. La sofferenza intima e solitaria nella tragedia collettiva - Accadono più cose nella nostra testa che nelle strade tedesche - e poi il ritorno che non è mai ritorno, il futuro che per alcuni più che per altri è terra straniera, il male che contagia anche chi si schiera dalla parte giusta, il barlume di umanità che a volte si riesce a scorgere persino nel delatore della Gestapo..... Troppo e anche troppo scomodo, persino crudele.
Eppure è così che la parola si fa memoria, passione, quindi vita. E in quanto tale grande letteratura.
Succede che il passato ci sorprenda così, come un baule in cantina che non è stato più riaperto, come una scoperta archeologica. A volte è qualcosa di scritto, in cui è tanto riconoscere la nostra calligrafia, e solo quella. Non ci si vede proprio nell'atto di scrivere quanto si è scritto.
Sono stato proprio io? Domanda che in realtà potrebbe valere per tutti, anche per lo scrittore che oggi pubblica il libro che solo ieri ha scritto. Ma da cui talvolta discende assai più di una constatazione.
Come Marguerite Duras in queste pagine, sconcertata da tanto disordine del pensiero e del sentimento da farle provare una sorta di vergogna della letteratura. Ed è vero, questa non è letteratura, questa è vita. Ma vita restituita in tutta la sua intensità.
Pochi libri come Il dolore (Feltrinelli) raccontano le lacerazioni e le paure della guerra, pochi libri sono così chirurgici nel dissezionare ciò che gli uomini sono e diventano nelle strozzature della storia.
Parigi, tra il 1944 e il 1945. Marguerite Duras milita nella Resistenza, i tedeschi le hanno strappato il marito. Prigioniero in un campo di concentramento, di lui non si sa più niente. Forse è già morto, forse quel forse non ha più senso, ogni giorno ha meno senso. Cos'è l'attesa di un ritorno? Come è piangere un morto sena tomba?
Troppo, c'è troppo in queste parole. La sofferenza intima e solitaria nella tragedia collettiva - Accadono più cose nella nostra testa che nelle strade tedesche - e poi il ritorno che non è mai ritorno, il futuro che per alcuni più che per altri è terra straniera, il male che contagia anche chi si schiera dalla parte giusta, il barlume di umanità che a volte si riesce a scorgere persino nel delatore della Gestapo..... Troppo e anche troppo scomodo, persino crudele.
Eppure è così che la parola si fa memoria, passione, quindi vita. E in quanto tale grande letteratura.
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