Chi avrebbe pensato, una volta, che sarei vissuto abbastanza a lungo da vedere un tempo in cui sarebbe stato un pericolo per la vita circolare nel territorio della stazione balneare di Cliff-House?
2073: è questo l'anno - lo stesso de L'ultimo uomo di Mary Shelley - in cui si colloca la vicenda de La peste scarlatta di Jack London. Siamo in California, che non è più la California che abbiamo negli occhi e nella testa, così come il mondo non è più quella di una volta. Una terribile epidemia ha cancellato la nostra civiltà, lasciando pochi superstiti ridotti a uno stato primitivo.
2013: nel racconto di Jack London è l'anno in cui la malattia distrugge ciò che siamo stati, come un colpo di cimosa sulla lavagna. Ciò che rimane è il racconto dell'ultimo sopravvissuto ai suoi nipoti. Tra vuoti di memoria e parole di cui ormai si è perso l'uso sembra il vaneggiamento di un anziano.
1912: è l'anno di pubblicazione di questo impressionante racconto lungo. Jack London ha 35 anni e poca vita davanti a sè. Morirà nel 1916, tradito dal fisico e dagli abusi. Non farà in tempo a vedere la grande peste del Novecento, la febbre spagnola che dal 1918 mieterà in tutto il mondo milioni di vittime.
Quasi profetico, il grande Jack. E comunque sia La peste scarlatta, riproposto da Tarka edizioni, è un gran bel racconto che non richiama solo gli scenari da Day After. Non meno rilevante, a mio parere, è il tema della memoria che non si trasmette, della testimonianza che fa fatica a essere creduta. Tema che, per inciso, vale anche per diversi crimini di massa della nostra epoca.
Però, certo, è impossibile leggere questo libro senza pensare a ciò che in questi mesi è successo e succede al nostro pianeta. Impressionanti alcuni riferimenti, per esempio sui ritardi con cui viene data notizia dell'epidemia - Voglio dire che era stato impedito che al resto del mondo arrivasse parola che Londra aveva la peste - oppure sulla solitudine che accompagna l'agonia dei contagiati - Spedivamo le persone colpite in quelle stanze segretate. Li costringevamo a andarci da sole, in modo da evitare di toccarli. Era una cosa straziante.
Così London entra a pieno titolo nella biblioteca della peste, assieme ai grandi quali Tucidide, Manzoni, Camus (su questo leggete la bella prefazione di Virginio Sala). E complimenti a Tarka, che dopo Il viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre ci ha regalato un altro libro perfetto per i nostri giorni al tempo del coronavirus.
2073: è questo l'anno - lo stesso de L'ultimo uomo di Mary Shelley - in cui si colloca la vicenda de La peste scarlatta di Jack London. Siamo in California, che non è più la California che abbiamo negli occhi e nella testa, così come il mondo non è più quella di una volta. Una terribile epidemia ha cancellato la nostra civiltà, lasciando pochi superstiti ridotti a uno stato primitivo.
2013: nel racconto di Jack London è l'anno in cui la malattia distrugge ciò che siamo stati, come un colpo di cimosa sulla lavagna. Ciò che rimane è il racconto dell'ultimo sopravvissuto ai suoi nipoti. Tra vuoti di memoria e parole di cui ormai si è perso l'uso sembra il vaneggiamento di un anziano.
1912: è l'anno di pubblicazione di questo impressionante racconto lungo. Jack London ha 35 anni e poca vita davanti a sè. Morirà nel 1916, tradito dal fisico e dagli abusi. Non farà in tempo a vedere la grande peste del Novecento, la febbre spagnola che dal 1918 mieterà in tutto il mondo milioni di vittime.
Quasi profetico, il grande Jack. E comunque sia La peste scarlatta, riproposto da Tarka edizioni, è un gran bel racconto che non richiama solo gli scenari da Day After. Non meno rilevante, a mio parere, è il tema della memoria che non si trasmette, della testimonianza che fa fatica a essere creduta. Tema che, per inciso, vale anche per diversi crimini di massa della nostra epoca.
Però, certo, è impossibile leggere questo libro senza pensare a ciò che in questi mesi è successo e succede al nostro pianeta. Impressionanti alcuni riferimenti, per esempio sui ritardi con cui viene data notizia dell'epidemia - Voglio dire che era stato impedito che al resto del mondo arrivasse parola che Londra aveva la peste - oppure sulla solitudine che accompagna l'agonia dei contagiati - Spedivamo le persone colpite in quelle stanze segretate. Li costringevamo a andarci da sole, in modo da evitare di toccarli. Era una cosa straziante.
Così London entra a pieno titolo nella biblioteca della peste, assieme ai grandi quali Tucidide, Manzoni, Camus (su questo leggete la bella prefazione di Virginio Sala). E complimenti a Tarka, che dopo Il viaggio intorno alla mia camera di Xavier de Maistre ci ha regalato un altro libro perfetto per i nostri giorni al tempo del coronavirus.
Nessun commento:
Posta un commento