Perchè in ogni pagina trasmette la voglia di raccontare una storia, fino al punto che il racconto diventa parte della storia stessa, meccanismo per unire tempi diversi, cucire varie traiettorie, scatenare altre situazioni: in questo caso un viaggio in macchina trent'anni dopo, le parole per ingannare la noia e l'attesa.
Perchè attraversa almeno cinque o sei generi - il giallo, il noir, il thriller, il romanzo rosa, il romanzo storico, altro ancora - ma questo per eluderli, confonderli, contaminarli. E secondo me è un bel complimento dire di un libro che non è di genere, che fai fatica a incasellarlo: vale per i libri come per le persone.
Perché, come spiega Maurizio Di Giovanni, esistono tre modi di tornare indietro nel tempo: procurarsi una macchina magica, servirsi di documenti e film d'epoca, oppure farsi accompagnare da uno scrittore così.
Perché questo è così vero che posso contare su altri occhi per guardare la mia Firenze. Occhi che mi allenano all'andirivieni tra epoche diverse, che scovano scorci di cui non mi ero mai accorto, restituiscono vicende ai loro luoghi, recuperano ciò che è si è reso invisibile. E questo già nelle prime pagine di un romanzo che comincia in piazza del Duomo e prosegue per viale Principe Eugenio - qual è il suo nome oggi? - per poi lambire il palazzo della Gioventù italiana del Littorio - cosa c'è oggi al suo posto?
Perchè mi porta dentro la Storia con la esse maiuscola, quella che soverchia le parabole individuali, le plasma, spesso le violenta. E perché di questa Storia ha un gran rispetto anche se gli piace giocarci come il gatto col topo. Niente è come sembra, dice a un certo punto. E potremmo essere dalle parti di un altro genere ancora - l'ucronia - non fosse che l'ucronia conduce la Storia verso un esito alternativo, qui le cose finiscono per accadere come sono davvero accadute, solo che c'è il gran lavorio delle altre possibilità, delle forze opposte e contrarie, di ciò che è a un passo dal realizzarsi e invece no.
Perchè, sempre a proposito di Storia, restituisce tutta un'atmosfera. E per esempio, sembra di vederli alcuni personaggi della comunità anglo-fiorentina, con il loro accento inglesissimo e la c aspirata: è grazie a loro che anche la bistecca, gloria cittadina, è la bistecca (beef-steak).
Perché con ogni pagina ti tiene incollato per vedere come va a finire - per questo l'altra notte ho dormito poco poco - però con ogni pagina, ancora, c'è una citazione musicale o letteraria, comunque un qualcosa che desta la tua curiosità e ti spinge a controllare su wikipedia, vedere un video su youtube o cose del genere.
Perché a un certo punto si vagheggia le salsicce alla Rex Stout e ora devo trovare qualcuno che me le cucini. O almeno mi passi la ricetta.
Perché Bruno Arcieri è un personaggio che entra dentro sviluppando una singolare empatia: sarà che è un personaggio che cambia, come tutti noi, e che accetta il cambiamento, come pochi di noi; sarà che in un'Italia che è quella che è sa essere non un eroe ma uno che galleggia sopra la linea della decenza, e ce ne fossero di più anche oggi; sarà che legge Hemingway e ascolta jazz.
Perchè c'è una voce, in queste pagine, che riconosci e senti amica.
Mi fermo qui. Il Ragazzo inglese è il nuovo romanzo di Leonardo Gori e del suo capitano (Tea edizioni): io lo consiglio per questi motivi. Voi, sono sicuro, ne troverete altri.
Perchè attraversa almeno cinque o sei generi - il giallo, il noir, il thriller, il romanzo rosa, il romanzo storico, altro ancora - ma questo per eluderli, confonderli, contaminarli. E secondo me è un bel complimento dire di un libro che non è di genere, che fai fatica a incasellarlo: vale per i libri come per le persone.
Perché, come spiega Maurizio Di Giovanni, esistono tre modi di tornare indietro nel tempo: procurarsi una macchina magica, servirsi di documenti e film d'epoca, oppure farsi accompagnare da uno scrittore così.
Perché questo è così vero che posso contare su altri occhi per guardare la mia Firenze. Occhi che mi allenano all'andirivieni tra epoche diverse, che scovano scorci di cui non mi ero mai accorto, restituiscono vicende ai loro luoghi, recuperano ciò che è si è reso invisibile. E questo già nelle prime pagine di un romanzo che comincia in piazza del Duomo e prosegue per viale Principe Eugenio - qual è il suo nome oggi? - per poi lambire il palazzo della Gioventù italiana del Littorio - cosa c'è oggi al suo posto?
Perchè mi porta dentro la Storia con la esse maiuscola, quella che soverchia le parabole individuali, le plasma, spesso le violenta. E perché di questa Storia ha un gran rispetto anche se gli piace giocarci come il gatto col topo. Niente è come sembra, dice a un certo punto. E potremmo essere dalle parti di un altro genere ancora - l'ucronia - non fosse che l'ucronia conduce la Storia verso un esito alternativo, qui le cose finiscono per accadere come sono davvero accadute, solo che c'è il gran lavorio delle altre possibilità, delle forze opposte e contrarie, di ciò che è a un passo dal realizzarsi e invece no.
Perchè, sempre a proposito di Storia, restituisce tutta un'atmosfera. E per esempio, sembra di vederli alcuni personaggi della comunità anglo-fiorentina, con il loro accento inglesissimo e la c aspirata: è grazie a loro che anche la bistecca, gloria cittadina, è la bistecca (beef-steak).
Perché con ogni pagina ti tiene incollato per vedere come va a finire - per questo l'altra notte ho dormito poco poco - però con ogni pagina, ancora, c'è una citazione musicale o letteraria, comunque un qualcosa che desta la tua curiosità e ti spinge a controllare su wikipedia, vedere un video su youtube o cose del genere.
Perché a un certo punto si vagheggia le salsicce alla Rex Stout e ora devo trovare qualcuno che me le cucini. O almeno mi passi la ricetta.
Perché Bruno Arcieri è un personaggio che entra dentro sviluppando una singolare empatia: sarà che è un personaggio che cambia, come tutti noi, e che accetta il cambiamento, come pochi di noi; sarà che in un'Italia che è quella che è sa essere non un eroe ma uno che galleggia sopra la linea della decenza, e ce ne fossero di più anche oggi; sarà che legge Hemingway e ascolta jazz.
Perchè c'è una voce, in queste pagine, che riconosci e senti amica.
Mi fermo qui. Il Ragazzo inglese è il nuovo romanzo di Leonardo Gori e del suo capitano (Tea edizioni): io lo consiglio per questi motivi. Voi, sono sicuro, ne troverete altri.
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