E' un saggio di poche pagine che si legge di un soffio, un libriccino in cui mi sono imbattuto solo per caso e che capisco possa essere trascurato. Si può prescindere, in effetti, dalle opinioni che Stefan Zweig coltivava su Charles Dickens.
Dalle opinioni forse, vorrei dire, meno dal modo con cui Stefan Zweig sapeva illustrarle. Una volta che si comincia con i suoi ritratti di personaggi, più o meno celebri, si sviluppa infatti una singolare forma di dipendenza.
Fatto sta che in queste poche pagine Zweig adopera l'opera di Dickens come un trampolino per tuffarsi nei più svariati argomenti. Ragiona su ciò che lega un autore al suo tempo, discute sui rapporti tra talento e tradizione, sintetizza lo spirito della nazione inglese e della relativa letteratura, indugia su ciò che rende uno scrittore popolare o lo condanna all'oblio.
Insomma, cosa ha fatto sì che Dickens diventasse Dickens, il più amato dei romanzieri britannici?
In fondo è intorno a questa domanda che gira tutto il saggio. Se Shakespeare appartiene all'epoca eroica dell'Inghilterra, al secolo delle avventure e delle conquiste, Dickens appartiene all'epoca della comoda conservazione, delle buone maniere, della rispettabilità: il primo è incendio, il secondo fuoco nel caminetto. Dici Dickens e ti viene in mente una lettura confortevole in poltrona, allietata anche da un buon tè.
Per più Dickens rammenta nel suo destino quello di Gulliver che mentre dorme viene immobilizzato a terra con migliaia di corde dai Lillipuziani. Laddove le corde - spiega Zweig - sono i molti condizionamenti della tradizione inglese.
Eppure Dickens è l'autore per cui le famiglie inglesi trepidavano, ogni mese in attesa del postino che avrebbe consegnato il fascicolo col nuovo capitolo di un suo romanzo. E una ragione c'è:
Più di tutti gli altri autori del suo secolo, Dickens ha reso felice il mondo.
Non so dire se sia per la sua capacità di descrivere le situazioni o scolpire certi personaggi, se sia per il modo in cui racconta l'infanzia o in cui ci consegna la figura di certi matti che poi tanto matti non sono.
Quello che è certo è che con lui la parola si fa poesia che illumina i giorni, tregua dagli assilli, piacere semplice ma non scontato. Ad altri gli ardori stilistici, i compiacimenti della forma, le frenesie dell'avanguardia.
Con Dickens quel piacere si fa bastare: col rimpianto per quel tempo in cui la gente andava incontro al postino, impaziente di sapere come sarebbero andate le cose a Samuel Pickwick o a David Copperfield.
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