Cominci a leggere e pare di balzare su un caravan, avviare il motore e accendere la radio, imboccare una di quelle strade dritte che tagliano le contee come un filo a piombo, pali della luce e campi di mais dal finestrino. L'America scivola alle spalle, ma questa volta esige qualcosa, minimo uno sguardo più attento. Non devi solo macinare chilometri lungo queste strisce di asfalto, come in tanti libri, in tanti film.
Devi cercare l'umanità sulla strada, devi cogliere il senso del suo movimento. E certo, il viaggio è nel Dna di questo paese con poche radici e molta irrequietezza. Ma in America spesso si parte semplicemente per bisogno, perchè non ci sono alternative. Senza nemmeno un'idea o una possibilità di casa.
E' un gran libro Nomadland di Jessica Bruder, uscito per Clichy e illuminato dai riflettori del Festival di Venezia, per il gran film che ne è stato tratto. Il film non l'ho ancora visto, ma intanto l'America, questa America, l'ho immaginata, vista, percorsa attraverso questa parola scritta che sa tenere insieme potenza narrativa e lucidità giornalistica.
Un racconto d'inchiesta - recita il sottotitolo: e in questo modo tocca corde che da tempo non ascoltavo, richiama autori, soprattutto americani, che negli anni Sessanta e Settanta sapevano costruire reportage più appassionanti di un romanzo - Gay Talese e Truman Capote, per dirne due.
E allora benvenuti nel paese più ricco del mondo ma sempre alle prese con diseguaglianze, lacerazioni, contrasti che nella nostra cara vecchia cara Europa possiamo solo intuire, alla luce magari anche delle ultime elezioni; benvenuti in questa America dove può bastare un ricovero in ospedale per scaraventarti nel girone dei reietti, dove capita di dover scegliere tra l'affitto e il cibo in tavola; dove spesso non rimane che prendere un furgone, un camper, una roulotte, per inseguire un lavoro temporaneo; dove strani, sorprendenti intrecci si annodano tra i nomadi contemporanei e i giganti dell'economia: il Delta del Mississippi ma anche la Silicon Valley.
E sì, è proprio questo che mi ha colpito particolarmente. In fondo è la stessa America raccontata da John Steinbeck e da Jack Kerouac, di famiglie in movimento dall'Oklahoma alla Califonia, di vagabondi che si spostano sui treni merci per le raccolte nei campi.
La stessa eppure declinata in questa nostra contemporaneità che disegna mappe di città provvisorie - poco più di campeggi - che si fanno e disfanno in poco tempo, fosse anche per il periodo degli acquisti sotto Natale.
Il Sogno Americano ai tempi di Amazon, visto dall'altro lato. Il paese dei nomadi che costituiscono sempre più il presente. E non c'è riscatto, temo, non c'è nemmeno tanta poesia.
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