La chiave è già nel titolo: perché questo non è un libro sull'Oriente - qualsiasi cosa sia l'Oriente - ma un libro su come l'Occidente ha raccontato, guardato, sognato, inventato l'Oriente. E quindi un libro su noi stessi, sul nostro continente, la nostra civiltà, che in qualche modo nell'Oriente si è specchiata, attraverso l'Oriente si è confessata.
E' un grande libro Il grande racconto del favoloso Oriente di Attilio Brilli (edizioni Il Mulino), grande anche per il formato che, assieme a uno splendido apparato iconografico, ne fa un bellissimo "oggetto" da regalare, sfogliare, tenere in bella vista. Ma soprattutto grande per ambizioni e larghezza di vedute, per estensione nel tempo e nello spazio. Non a caso opera di uno dei più importanti studiosi italiani di storia dei viaggi, capace di ricostruire con grande cura i vari capitoli della "scoperta" dell'Oriente, ma anche di proporli con la forza del narratore di razza.
Da Lady Montagu - iniziamo da una donna - a Robert Louis Stevenson; da John Lewis Burckhardt a Victor Segalen; da Luigi Barzini a Richard Burton e Lafcadio Hearn: solo per accennare alla straordinaria galleria di personaggi che animano questo racconto. Viaggiatori di epoche e intenzioni diverse, ma che sempre hanno permesso alla curiosità di dare un senso diverso al loro viaggio. Mercanti di sogni - non solo di spezie - che al loro ritorno hanno saputo ridisegnare le nostre geografie.
Brilli parte dall'Oriente più vicino - Istanbul e i domini dell'impero ottomano - ma il suo movimento è largo, si spinge sempre più a Oriente, come ad assecondare il desiderio di luoghi ancora autentici, ancora incontaminati. Fino al Giappone che da poco ha aperto i suoi porti, fino addirittura a Tahiti.
Si ferma nei luoghi deputati all'ospitalità - siano oasi o caravanserragli - e prova a sbirciare negli harem. Traversa l'oceano Indiano in una lunga navigazione fatta di silenzi e fosforescenze, raggiunge gli altipiani dell'Asia dove come fiumi sono confluite diverse civiltà, esplora la Cina della rivolta dei Boxer, rimane a bocca aperta davanti ai tempi nella giungla di Angkor.
Viaggia anche nel tempo, Brilli, fino a pedinare i primi turisti che sono già qualcosa di diverso dai viaggiatori di una volta, gente abituata al breakfast all'inglese anche nel deserto.
Il tempo gira e muta tutto: eppure resisterà a lungo - resiste ancora? - l'idea di un Oriente come scrigno dell'esotico, del pittoresco. Mistero, pericolo, seduzione. Più l'illusione che il tempo, almeno laggiù dove il sole nasce, si sia fermato.
Illusione tutta nostra, ovvio. Illusione da occidentali: di uomini che per i tibetani erano solo coloro che si vedono attraverso le montagne.
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