In certi momenti la felicità è troppo intensa, trabocca, da non contenerla. Come adesso davanti al rosso rubino delle amarene contro il verse scuro delle foglie.
Io Pia Pera non la conoscevo. Al massimo era un nome custodito in qualche cassetto della memoria, una firma in fondo a qualche articolo su testate che leggevo per altro, per la politica, per l'attualità internazionale, di sicuro non per una rubrica sul giardinaggio.
Non me ne occupavo io di giardinaggio, non avevo tempo da perdere. Per me contavano le città e dentro le città le piazze, i cinema e i teatri, i circoli culturali, i luoghi dell'incontro, i luoghi dove succedeva qualcosa. Figurarsi se potevo avere la testa per i semi che germogliano, le fioriture stagionali, le insalate nell'orto.
Pia Pera l'ho scoperta solo ora, grazie a Due vite, il bel libro di Emanuele Trevi: è lei una delle vite, delle persone amiche di cui si parla in quelle pagine. L'ho scoperta e ora ho cominciato a leggerla e a ripercorrere le sue scelte: abbandonare la città, rifugiarsi in una casa di campagna sotto i Monti Pisani, imparare a fare l'orto, cominciare a vivere dei prodotti della propria terra.
Ora ho appena terminato L'orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano (Tea). E il titolo già mi piace e mi convince. E ci sarebbe molto da dire sia sulla parola apprendista che sulla parola perdigiorno - col tempo ho imparato che il tempo si guadagna proprio perdendolo.
Il fatto è che anch'io sono cambiato. Mi sono avvicinato alla montagna, ai sentieri, ai cammini solitari. Ho iniziato a leggere libri che parlano di stagioni, giardini, alberi. Ogni primavera e ogni autunno pianto fiori in terrazza e sui balconi. E se ancora non ho abbandonato la città ho mire per il mio giardino incolto senza casa.
In queste pagine Pia è prodiga di molti buoni consigli, ma soprattutto ragiona su quel "costosissimo biglietto di prima classa che concede il diritto di non partire, di sentirsi felici lì dove ci troviamo". Riesce a sorprendersi: "Comincio a entrare nel ritmo delle stagioni". Arriva a comprendere che le nostre mani che faticano nell'orto sono capaci di portare alla luce una possibile felicità.
"Questo è il punto che vorrei raggiungere, un meraviglioso ciclo di nascita crescita raccolto, e poi di nuovo riposo del terreno e altre nascite, altre crescite altri raccolti, fino a che l'orto sarà come un mandala del divenire perpetuo della natura".
E ognuno di noi insieme al suo orto, tempo e luogo dilatato, ritmo, filosofia, terapia, possibilità appunto.
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