Per saperne di più su una formidabile stagione della nostra letteratura, ma anche per avventurarsi in quell'affascinante retroterra che precede l'ispirazione e la fatica della scrittura. E perché no, anche per coltivare una sana nostalgia per un'epoca che è stata ben più di una sommatoria di autori e opere che hanno lasciato il segno.
Dell'ultimo libro di Francesco Ricci - inesauribile saggista (e affabulatore) di tante pagine e personaggi della nostra cultura - a me piace parecchio già il titolo: Storie d'amicizia e di scrittura (Primamedia editori). Di per se stesso basta a sovvertire il vecchio luogo comune dello scrittore come una specie di mistico che esige il silenzio e cerca solo dentro di sé le radici delle proprie parole.
Non ci ho mai creduto - ho sempre pensato piuttosto che ogni opera sia un'opera collettiva, consapevole o meno, dichiarata o meno - ma col libro di Ricci entriamo in una stagione che di per sè vale come una smentita: quel trentennio che in Italia inizia più o meno con la fine della seconda guerra mondiale e prosegue con la ricostruzione e il boom economico - il paese dello sviluppo senza progresso di Pier Paolo Pasolini. Succedono tante cose in quegli anni e c'è tutta una generazione di intellettuali pronti a ragionarci sopra, a raccontarle, a prenderne spunto per le loro opere. Una generazione che, appunto, non è una sommatoria di figure isolate, piuttosto un groviglio di fitte relazioni.
Di questo groviglio Ricci tira un capo, e che capo, quello dell'amicizia. Lo fa individuando quattro coppie di amici - Giacomo Debenedetti e Umberto Saba; Natalia Ginzburg ed Elsa Morante; Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini; Cesare Pavese e Fernanda Pivano - amici di un'amicizia che senza pretendere di essere esclusiva ha occupato un posto importante, direi decisivo, nella vita di ciascuno: e poco importa che poi certe strade si siano separate, perché anche su strade diverse certe amicizie non smettono di produrre i loro effetti.
Otto protagonisti della cultura di quell'epoca, che non sarebbero stati tali senza amicizia. E senza l'ambiente complesso, spesso faticoso, sempre stimolante, in cui queste amicizie erano immerse. Non a caso quella fu anche la stagione in cui a dividere la sfera privata da quella pubblica, come scrive Ricci, "non era una parete o un fossato, che richedeva un salto per essere superato, ma una semplice porta".
Si comincia con un'epigrafe da brivido, una poesia di Vittorio Sereni che è una delle cose più belle scritte sull'amicizia - "Un grande amico che sorga alto su me e tutto porti me nella sua luce..."; si prosegue con un'infinità di situazioni, intrecci, connessioni che catturano la lettura come un giallo; si finisce con almeno un foglio di appunti su temi da approfondire e libri da leggere o rileggere, perché questo è anche un libro di libri; ci rimane l'invidia per un tempo in cui, più di sempre, si discuteva, si litigava, ci si mandava a quel paese e poi si tornava a discutere; in cui anche un tavolo di osteria poteva essere tribuna e agorà; in cui certe idee erano più calde perché c'erano voci, c'erano respiri a intrecciarle insieme.
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